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L'oranese Marianna Bussalai nell'intervista a Francesco Casula

Lo storico ollolaese è stato intervistato da Virginia Saba

a cura della redazione
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Francesco Casula, autore del libro con Giovanna Cottu "Marianna Bussalai" (Alfa editrice) è stato intervistato da Virginia Saba per il quotidiano on line La donna sarda.it.

Raccontare Marianna Bussalai è stata anche la missione di Francesco Casula, professore di storia e filosofia esperto di lingua sarda e storia dell'Isola. Il suo libro Marianna Bussalai (Alfa Editrice), pubblicato lo scorso luglio, è scritto in lingua sarda anche per lei, “signorina Mariannedda”, che della nostra lingua amava la musica, la riteneva patrimonio prezioso, identità da proteggere. «Perché ho voluto dedicarle un libro? Perché è una donna - racconta Casula - e le donne in Sardegna hanno sempre esercitato un ruolo essenziale non solo a livello familiare e sociale ma anche a livello economico e culturale. Ma di loro i libri non parlano mai. Ad iniziare dai libri di storia».

Una donna de gabale, spiega. «Valente, di valore. Una ragazzina che con la quarta elementare, malaticcia, in un paese chiuso com’era Orani agli inizi del Novecento, da autodidatta si fa una cultura, non solo letteraria ma anche filosofica e politica (legge fra gli altri Marx), diventa scrittrice e poetessa e insieme leader politica. I suoi amici – con cui ha una fitta corrispondenza epistolare – sono Montanaru e i grandi dirigenti sardisti: da Luigi Oggianu a Pietro Mastinu, dai fratelli Melis (compreso il futuro presidente della m                                       àà fmmegione sarda, Mario Melis) a Emilio Lussu e Dino Giacobbe. E Sebastiano Satta, il principe del foro nuorese, il cantore della sardità, che andava spesso a trovarla ad Orani».

Quale il bene più prezioso che ha lasciato al popolo sardo Marianna Bussalai?

La testimonianza di una vita esemplare. Marianna Bussalai, “Signorina Mariannedda de sos Battor Moros”, così veniva chiamata dagli oranesi, è infatti una straordinaria figura di femminista, di sardista e di antifascista. Una poetessa, traduttrice e intellettuale di valore, morta nel 1947, a soli 43 anni. Frequenta solo fino alla quarta elementare, poi abbandona a causa di una malattia che non le permette di potersi recare a Nuoro per proseguire gli studi. Autodidatta - legge gli autori sardi (Sebastiano Satta, Montanaru, - con cui ha un fitto carteggio epistolare - e Giovanni Maria Angioy, di cui vanta una remota ascendenza), gli italiani (Dante, Manzoni, Monti, Pindemonte) ma anche i russi. Di Montanaru traduce le poesie in italiano. Di Dante avrebbe voluto tradurre la Divina Commedia in Limba per poter dare al popolo sardo – scriveva – la possibilità di leggere e comprendere l’opera. Poesie in Italiano e in Sardo: soprattutto mutettos e terzine. Famose sono rimaste quelle che mettono alla berlina i fascisti, ad iniziare dai ras locali. Il sardismo e l’antifascismo, cui dedicò tutta la sua vita, – ovvero l’amore smisurato per l’Autonomia e per la libertà – li vedeva incarnati meravigliosamente in Lussu, verso cui nutriva ammirazione e persino devozione. Marianna Bussalai infatti durante tutto il ventennio fascista diventa a Orani – ma non solo – punto di riferimento dell’antifascismo, la sua casa è il circolo antifascista, composto di ragazzi e ragazze, di uomini e donne. È altresì punto di riferimento dei Sardisti: ai Congressi del PSd'Az viene sempre delegata per portare le istanze dei minatori di Orani, dei pastori e del mondo delle campagne.

Come si distingueva il suo pensiero politico, il suo essere sardista? Come si distinguerebbe in particolare oggi?

“II mio sardismo – scriverà in una lettera all’avvocato Luigi Oggiano - nato da prima che il Partito sardo sorgesse, cioè da quando, sui banchi delle scuole elementari, mi chiedevo umiliata perché nella storia d'Italia non si parlasse mai della Sardegna. Giunsi alla conclusione che la Sardegna non era Italia e doveva avere una storia a parte”. Quello della Bussalai è dunque un Sardismo ante litteram, nasce inizialmente come sentimento o, più precisamente, come ri-sentimento contro uno Stato patrigno. Di qui la sua militanza nel Partito sardo d’azione e la sua “devozione” nei confronti di Lussu, che periodicamente le scriveva dall’esilio a Parigi. “Ho bisogno di seguirlo devotamente in qualunque modificazione, in qualunque innovamento dal più ampio e moderno respiro – scriverà in una lettera all’amica Mariangela Maccioni – ma ad una condizione: purché sia nel Partito nostro, nel Partito sardo, come «sardisti» non in un Partito italiano «nazionale», dove saremmo forse ancora «autonomisti» ma non saremmo più «sardisti». Perché militare in un Partito «sardo» significava che v’era (oltre alla necessità di riforme autonomiste dell’intero stato italiano) anche una «questione sarda», di fronte alla Penisola; una passione Sarda, una coscienza Sarda da formare, sia pure per un lontano futuro. E a chi obiettava che rinchiudersi nella Sardegna e in un Partito come il PSd'Az sarebbe provinciale e limitativo, in una lettera all’amica Graziella Sechi Giacobbe scrive: “Mi spieghi perché ci voglia un cuore più capace per militare nel Partito italiano d'azione e un cuore più limitato per militare nel Partito sardo d'Azione. Indubbiamente l’Italia ha una superficie maggiore della Sardegna; ma la vastità e la grettezza dello spirito non si misurano a metri o a chilometri quadrati”.

E allora cosa possono dare in più e di diverso le donne in politica?

Riferendomi alla esperienza specifica di Marianna Bussalai, posso dire che per lei la “politica” era la politica bella, fatta di teoria e prassi, partecipazione diretta e coinvolgimento, soprattutto dei giovani, impegno e passione. Disinteresse assoluto. Fede quasi. Ai Congressi del suo Partito andava per rappresentare i bisogni e i problemi della gente oranese, ma soprattutto dei lavoratori e non per cercare qualche posto in lista per le elezioni. Non politica politicante, come diremmo oggi, dunque. Che Bussalai rimproverava persino al viceparroco, che utilizzava la religione per fini politici, “temporali”, si diceva allora, impelagato com’era nel regime fascista.

In cosa consisteva il suo femminismo?

Siamo agli inizi del Novecento, in un paese del Nuorese dove le differenze di genere più che mai segnavano il divario fra i ruoli nella società. A ciò occorre aggiungere i disagi legati alla sua menomazione fisica. Ebbene, Marianna Bussalai, pur in questo contesto e in queste condizioni, legge, studia, scrive, organizza l’opposizione antifascista, è politicamente attiva, coinvolge, da vera leader, i giovani nella sua attività, partecipa ai Congressi del suo Partito i cui massimi dirigenti, quando vanno a trovarla, diventano insolitamente taciturni. “Quando vado a Orani – dirà Titino Melis – vado per ascoltare Marianna”. Tanta era la sua autorevolezza di donna prima ancora che di leader politica.

Come era vista dagli uomini del suo tempo?

Aveva due grandi amiche e compagne di lotta: Mariangela Maccioni e Graziella Sechi-Giacobbe, che considera “dolci ed eroiche amiche”. La prima è maestra elementare e moglie di Raffaello Marchi (verrà sospesa dall’insegnamento perché ostile al Fascismo), la seconda ugualmente antifascista è moglie di Dino Giacobbe, il mitico combattente e comandante nella Guerra civile in Spagna contro Franco. Formano la cosiddetta triade sardista e antifascista. E aveva soprattutto molti amici Lussu, Giacobbe, i fratelli Melis, Oggiano, Mastino, Sebastiano Satta, Montanaru. Ma aveva amici, in modo particolare fra i giovani: per cui era un punto di riferimento intellettuale e culturale oltre che politico. Così la ricorda con affetto e ammirazione Gonario Usala, uno dei suoi “allievi” più cari e fedeli: “Era enciclopedica nella sua formazione culturale nonostante si fosse formata da perfetta autodidatta. Su tutto dava risposte appropriate. Nel suo cuore aveva tuttavia la Sardegna e proprio ai libri sardi, ne possedeva tantissimi, riservava un’attenzione particolare”.

Cosa potrebbe insegnare questa figura di donna alle donne sarde d'oggi?

Nonostante la sua fragilità fisica e la sua malattia, era una donna libera e ribelle, coraggiosa e anticonformista, attiva e impegnata, colta e poetica. E innamorata della sua gente e della sua terra. Ecco il suo insegnamento.

Quali sono i suoi versi più belli?

Molti critici ritengono che la sua poesia più bella sia stata la traduzione in italiano di una poesia di Montanaru (A Giagia mia: A Mia nonna). A tal punto da considerarla superiore all’originale in lingua sarda. Da parte mia ritengo che gli scritti più validi e, ancora oggi più che mai attuali, siano i suoi Mutos e Mutetus, in lingua sarda. Soprattutto quelli ironici e satirici con cui ridicolizzava i gerarchi e gli scherani del fascismo e Mussolini stesso (nel cui nome allungava il mussi-mussi, l’appellativo con cui si chiamano in Sardo i gatti e la cui espressione deriva dal latino mus (topo) e dunque a fronte di mussi-mussi il (gatto si avvicina). Eccone alcuni: “Farinacci est bragosu/ca l’ana saludau/sos fascistas de Orane/tene’ pius valentia/de su ras de Cremona/su Farinacci nostru.” “Ite bella Nugòro / tottu mudada a frores / in colore 'e fiama. / Ite bella Nugòro / solu a tie est s'amore / ca ses sa sola mama / Sardigna de su coro/ Saludan' sos sardistas / chin sa manu in su coro / de sas iras fascistas / si nde ride’ Nugòro.” La sua produzione letteraria è fatta di grande pathos e ideali.

Sempre attuale o nostalgicamente anacronistica nel mondo di oggi?

Attuale, perché noi oggi avremmo urgente bisogno di nuovi e rinnovati Mutos e Mutetos contro i nuovi Cesari. I potenti hanno paura della satira, perché niente è più irriverente ed eversivo del sorriso che può frantumare i bastioni della paura, rendendo ridicolo il potente. Il sorriso è infatti capace di scomporre gerarchie sociali e indebolire il sistema che viene sezionato e raccontato con le parole acuminate dell’ironia. Ecco perché il potere non tollera la satira e, quando può, cerca di cancellarla.

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