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Rocce e chiese, intrigo di attualità e memorie.

di Matteo Marteddu

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PREDAS-INTRO ’E MONTES “
“L’uomo fu preso dalla smania di visitare i suoi “ predi”, di misurarli con l’occhio e bearsene sfidando il solleone che incombeva sul borgo e sulle schiene dei mietitori; stette alquanto assorto………….Il cavallo sollevò la testa, lo guardò, nitrì sommesso. Il nitrito parve una risata di scherno. Lo sellò nel cortile, montò, partì. Attraversò alcune stradicole use alla campagna. Il cavallo camminava svogliato affondando i piedi nella polvere: e a tratti “ sfagliava” sotto la puntura di tafani. La polvere saliva lentamente, coprendo di bianchezza l’abito nero del cavaliere, come per gioco. Saliva dalla terra, con la vampata del sole, un ansito panico di maturità, come di donna alla vigilia delle doglie La terra s’era fatta sposa compiuta, ornata di spighe d’oro gialle…Cammina, cammina; Fabio Serra è giunto nel suo regno. Ecco i predi, l’uno accanto all’altro; a destra a sinistra, di qua, di là dalla valle.Ecco gli uliveti, i mandorleti, la vigna. Ecco Elia, il vignaiolo…” (S. cambosu)


Per rivivere le Immagini scolpite nella pietra e nella memoria di Salvatore Cambosu Abbiamo altre ragioni,noi, del nostro camminare. I luoghi sono gli stessi di Cambosu: rocce e vallate a nord-ovest di Orotelli. Non più mandorleti, oliveti, vigne; ma la suggestione che ci accompagna ha l’intensità degli stessi colori, l’asprezza fiabesca dei graniti graffiati dal vento, tutti da vedere e da scoprire con l’incanto di una terra ancora selvaggia. Solo l’orizzonte, là in fondo, proietta ombre di malinconia e di tristezza, con torri stilizzate, ansimanti nella loro agonia di una industria incompiuta e forse mai nata. Da Mussinzua, quartiere nuovo e popoloso di Orotelli, si salta la prima barriera di filo spinato e si calpesta il prato di un verde incoraggiante; per noi è “ Oros”. La prima salita nel rocciaio è lì in agguato: lentamente avanziamo, ripagati dal denso profumo di mirto e dalla sensazione di elevarci sopra il paese, anzi il quartiere nuovo e osservare , dall’alto, subito, le sue geometrie radicate in una storia urbanistica che incrocia la antica povertà contadina con la modernità dello sviluppo. Ma subito sas predas, le rocce, sos nodos; maestose, erette o sdraiate, le pietre sono la nostra compagnia, anch’esse in cammino: Monte Portulu, Monte Nasudu, “ le tre parche”, nomi scolpiti nella storia di Orotelli o da noi, sul momento, dati, per incredibili assonanze mitiche o culturali. “ Sas Tanchittas”,con memorie di giovani donne chine a sciacquare panni in vasche naturali, in una sorta di rituale lavacro collettivo. Scolliniamo sull’altipiano di Orgosì, lasciandoci sulla destra la maestosità de “ Su nodu ‘e sa castanza”, imponente grumo di granito che separa, a nord, Orotelli dalle distese della piana del Tirso. Per raggiungere “ Crastone”, punto di vedetta degli gli operatori antincendio, non sciegliamo la comodità di un sentiero d’altipiano; ma vale proprio la pena di attraversare, con qualche tensione, l’impervio saliscendi di rocce, con facce antropomorfe e zoomorfe, anfratti e grotte alcune appese tra terra e cielo. Uscire, ci accostiamo e saliamo al punto di vedetta, terrazza panoramica sul centro Sardegna: dalle nevi di Punta Lamarmora, al tridente di Gonare, punta Sa Pruna, il Corrasi, Sa Serra di Orotelli-Orani –Nuoro con il sito nuragico cultuale di Nurdole, la catena del Marghine e del Goceano con Monte Pisanu, Macomer e l’Oristanese, 360 gradi di Sardegna. E paesi, paesi, paesi; quasi a racchiudere, con un compasso, il popolo dei Nurritani, secondo il cippo di confine “Fin. Nvrr”, documentato dal Prof. Attilio Mastino e rinvenuto a Porzolu, proprio sotto di noi. Lastre piatte di granito ci accompagnano nella successiva discesa, “ Sas Ladas”; richiamano strutture di strada romana ma grondano sudore e fatica di operai che, nell’immediato dopoguerra , si ribellano con scioperi alla rovescia: lavoro più duro per rivendicare diritti di civiltà e giustizia. Giù si spalancano le valli di Manaeri, Binzas Nieddas; le sfioriamo attraverso un antica carrareccia, resa percorribile, per arrivare alla splendida omonima chiesetta romanica-pisana di Oddini. Ci si ferma per tirare il fiato, ammirando sulla destra i ruderi della chiesa di S. Michele, che si ergono ancora dal 1600, sui contrafforti della piana del Tirso. Ma la sosta ci consente di ammirare megaliti e gradoni di forme che non possono non richiamare il mistero o della natura o di antichi culti di civiltà a noi sconosciute. . Ci troviamo così, proseguendo a Intro ‘e Montes, luogo aspro, di capre, che custodisce storie rimosse di spartiacque nelle tristi stagioni dell’abigeato e più in là nel tempo, memorie perse, di villaggi scomparsi, dai nomi inquietanti “Sa Rusta”, “ Istivei” con genti aduse alla vita dura, fatta di furti e di bardane. Cuile ‘e Cannas, fiorente azienda pastorale, rumori di greggi, bovini al pascolo nella fertile vallata di Erilotta, orgogliosa dei suoi pluri centenari olivastri. E protetto da fitte e impenetrabili macchie di lentischio, il “Fungo”,“Sa preda coveccada”,la pietra monumento su cui le stagioni, la pioggia, il vento, le fate e gli spiriti hanno giocato a rincorrersi fino a scolpire lo straordinario capolavoro ai cui piedi sostiamo, quasi in religioso silenzio. Dopo la sosta, si sale, si sale, carrareccia antica con le rughe del tempo e dell’incuria, per raggiungere l’altipiano. Rocce a destra e a sinistra, la stanchezza ci insegue se pure in maniera mite. D’altronde i toponimi infondono mitezza: “Ena Longa”, Pira e donne”, “Monte Giardinu”, Monte Frore”, “Cucculichima” e dobbiamo girare a destra lo sguardo per agguantare il nuraghe omonimo , semi nascosto dalla vegetazione, ma intrigante, ancora, dopo millenni, nella sua “Tolos” e nel suo “antimurale” esposti all’incedere del tempo. . Non poteva nella parte finale della escursione non accoglierci “Su Thurpu”; figura truce e trasgressiva, triste e pensierosa, a capo chino. Sì, quella roccia, così antropomorfa, così simbolo, nel mondo, di Orotelli, paese di Barbagia, passato e presente , miscela di cultura per un futuro di speranze e di cambiamento. “Ped’e Adde”, il piede di una valle ci introduce nella parte alta del paese,“ S’Iscaleddu”; ancora rocce sulla destra, con le braccia della croce di “ Crastidorzi”, tese a proteggere e a raccogliere da decenni, pensieri e sentimenti di genti orgogliose.
 

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