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Fainas. Opportunità e suggestioni. Orotelli e le sue storie

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Vai sulla salitella di Ferrandu; pomeriggio di primavera di Gennaio, Orotelli. Proseguimento, forse, della antica carrareccia romana, dae S’Ena alla collina, ai rocciai di difesa dai gelidi venti di tramontana. Si respira aria di festa, animazione nella piazzetta de Santa Ruche; antica chiesa, muri spessi, travi robuste. Hanno retto canti di radicata religiosità popolare e accese discussioni quando era sede di partito. Oggi centro policromo di attività pubbliche. Sa faina della preparazione de su mannale. Il ragazzo con maestria di radici antiche, si muove attorno  al fuoco completando l’operazione. Si rappresenta davvero parte essenziale di una economia povera. Si prosegue in quell’intrico di vicoli, tra Putt’e lendine, Palatteddu, Molinu Etzu, sant’Antoni, Santu Lussurzu, Su Brasile. Architetture cadenti, i simboli slabrati dell’epopea dei contadini. Che contrasto con le  grandi case padronali, a chiudere a sud-est il paese, con graniti quasi levigati, segni di ricchezza e potere e abissale differenza tra classi sociali. Qui case basse, finestrelle per la luce, cemento quadrettato per simulare improbabili piastrelle, e granito a geometria variabile, stipiti e contrafforti, tetti in cannicciato con tegole irregolari, soppalchi  in tavole di legno povero, camini e forni fumanti; la vita era racchiusa lì. Fuori lo spazio per il carro, selciato battuto  dal graffiare dei buoi e dagli scarponi bullonati. Qui, nel polveroso scrigno della storia, ragazzi e ragazze rinnovano riti, impastano fainas, si misurano col passato. Sudore di donne, pane lentu, pane polla, cocones chin berdas, papassinos e pistiddu, formaggi e salumi, ingredienti unici dell’economia curtense.

Fiorire di entusiasmo che attraversa i volti anneriti, tintieddu del fuoco del santo, de sos thurpos, racchiusi nei gabbani neri; tintinnio  dei bronzi, cadenzanti il passo lento e pesante.  Ma non sembra più  una maschera; anzi , è una  nuova Storia. Sotto quel nero, ormai scorre il futuro, già oggi. C’è molto di antico e di moderno; tra Tatalo, il suo carro e l’web, tra il pistiddu e gli smartphone   e facebook, tra questi ragazzi affamati di futuro. Il post industria è alle spalle, i sogni si sono infranti e avanza il nuovo; forse una nuova fiducia,  se ragazzi e ragazze hanno sfidato, con il loro impegno, la loro e nostra storia e lanciano  lo sguardo verso altri orizzonti. Con gli occhi sgranati, tanti curiosi esterni, osservano il passare davanti a loro, come in una clip autogestita,   fotogrammi di passioni antiche. Con la eco di Salvatore Cambosu: “C’è una giornata veramente si sole in certi villaggi: ed è quella di uno sposalizio. Vi passa l’arca santa: il carro fatidico; con la cassapanca intinta di sangue di capra; col suo carico di canestri colmi di grano, col suo ricco tesoro di pani a foggia di colomba o di cuore. E la lana cardata e le chiome di canapa e i fusi e le conocchie viaggiano su quelle due ruote dietro i buoi infiocchettati”. E’stato “Fainas de ichinadu” a Orotelli.


                    

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