Silvano Tagliagambe, brillante filosofo ed epistemologo, molto noto anche in Sardegna – fra l’altro per aver insegnato all’Università di Cagliari – in un recente articolo dal titolo molto significativo “Basta con l’illuminismo applicato, contro il declino dell’isola servono partecipazione e identità locali” (pubblicato su blog di Vito Biolchini), fa piazza pulita di una serie di luoghi comuni sull’Identità. “Essa rappresenta – scrive – un elemento la cui creazione e il cui consolidamento scaturiscono da tutte le funzioni, gli aspetti e i processi che costituiscono un importante fattore di coesione e di stabilità di un territorio … Senso di appartenenza e orgoglio locale sono infatti elementi che rafforzano le propensioni cooperative e sinergetiche, sia sviluppando «reti di protezione» alle singole imprese nei momenti di difficoltà, sia incrementando il potenziale di creatività locale. Il concetto di identità, in questo quadro generale, è dunque espressione diretta della struttura sociale e delle relazioni fra i soggetti che la compongono. A caratterizzarlo è l’intreccio di fattori fisici, culturali, relazionali ed economici che determinano la forma e la qualità dei singoli insediamenti e condizionano la formazione della base economica e produttiva di ogni specifica comunità. L’aspetto importante del riferimento a questi concetti è che da essi scaturisce una chiara indicazione dell’impossibilità di prescindere, nella formulazione delle politiche di crescita e di sviluppo territoriale, dalle comunità locali e dalla partecipazione e dal coinvolgimento dei soggetti che le compongono. Questo è il senso della sfida posta oggi alla classe politica e ai responsabili del governo dei sistemi sociali dall’esigenza, sempre più sentita, di fare della partecipazione ai processi decisionali e della condivisione degli obiettivi di gestione del territorio, innovazione e di crescita la base di una nuova cultura diffusa, di un nuovo «senso comune» e di un nuovo modello organizzativo, più efficaci e rispondenti alle esigenze ormai indifferibili alle quali occorre far fronte se si vuole evitare di cadere in un declino che si profila sempre più incombente e minaccioso”. Dunque – secondo Tagliagambe – per “evitare il declino” economico, prima ancora che sociale e culturale, per la crescita e lo sviluppo territoriale, occorrono identità locali, orgoglio e senso di appartenenza. E’ una rigorosa risposta ai laudatores della globalizzazione e della omologazione che negano l’Identità sarda o comunque la combattono, dopo averne fatto la caricatura. Ridotta infatti a feticcio o a folclore, a dato immutabile e immobile, è evidentemente facile contestarla e negarla. Essa invece è un elemento dinamico, da rielaborare continuamente. E non deve essere concepita come un guscio rassicurante che ci garantisce e ci difende dallo spaesamento indotto dalla globalizzazione e/o dalla diversità: essa deve invece essere accettata e riconosciuta come la condizione base del nostro modo di situarci nel mondo e di dialogare con gli orizzonti più diversi, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità e per abitare il mondo, aperti al suo respiro, lottando contro il tempo della dimenticanza. L’identità si vive dunque nel segno della contaminazione e dell’appartenenza. L’identità è quella che diventa progetto – anche economico – e l’appartenenza diventa storia, caricandosi di vita, suscitando conflitti, impegnandosi con le lotte a trasformare il presente e costruire il futuro. Altro che feticcio o folclore!