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L'unione sarda. Scorie tossiche e illusioni

La strana storia del sogno industriale dei primi anni '70, migliaia di buste-paga polverizzate e un territorio senza identità

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di Anthony Muroni
OTTANA È la fine degli anni '60 quando a Roma si decidono le sorti di una vasta parte del sud Italia. Per il centro Sardegna un gruppo di “illuminati” politici e tecnici sceglie (per renderla definitiva qualche anno dopo) una proposta di sviluppo che è uguale a quella applicata in quegli stessi anni a Siracusa, Gela e Milazzo (Sicilia), Sarroch e Porto Torres (Sardegna), Brindisi e Taranto (Puglia) e Gioia Tauro (Calabria). Gli investimenti riguardano la petrolchimica e la siderurgia, con tanti capitali pubblici da investire ma con scarsa possibilità di trascinare allo sviluppo l'intero territorio, favorendo la nascita di piccole e medie imprese.
IL SOGNO SVANITO Così Ottana, assieme a tutta l'area circostante, iniziò a perdere la vocazione agro-alimentare, nell'illusoria speranza che la distribuzione di tante buste-paga avrebbe potuto sostituirsi alla scolarizzazione e alla crescita sociale del territorio nell'arginare e prevenire il fenomeno del banditismo e dell'arretratezza. I risultati sono storia nota: una breve stagione di piena occupazione (fino a 5 mila posti di lavoro), tanto territorio consumato e inquinato, nessuna crescita imprenditoriale sistemica e grande spreco di denaro pubblico. Oggi è sufficiente aggirarsi tra i capannoni-fantasma che sono nati come funghi nelle zone industriali di Ottana e Bolotana per prendere atto di un fallimento strutturale. Le greggi che pascolano sotto le ciminiere, i sogni traditi e il frettoloso disimpegno dello Stato ne costituiscono la testimonianza più efficace.
IL RUOLO DELLO STATO Fu l'Eni a guidare l'apertura di diverse fabbriche di fibre e di una centrale termoelettrica a olio combustibile. Ora sono rimasti solo la cassa integrazione, la mobilità, il deserto industriale, i capannoni vuoti. E lo spettro dell'inquinamento ambientale. Nel Tirso è finito di tutto: dimetilamina, soda caustica, acido acetico, anidride solforosa, persolfato di potassio, dimetilacetamide, acrilonitrile e acetato di vinile. Queste ultime altamente tossiche.
CATTEDRALE NEL DESERTO Tutti sapevano che questa non era la localizzazione giusta per quegli investimenti: già all'inizio degli anni '70 qualche deputato repubblicano e liberale, spezzando il gioco consociativo di Dc e Pci (che assieme al sindacato gestivano il sistema clientelare delle assunzioni) parlò di «un grande stabilimento petrolchimico, piantato nel deserto, lontano dal mare, che prosciuga l'acqua che dovrebbe andare alle colture. Un errore madornale che è stato fatto sapendo, con cinismo elettorale, che si trattava di un orrore di cui naturalmente a pagare le spese sarebbe stato il popolo».
INFRASTRUTTURE INESISTENTI Chi oggi arriva a Ottana trova lo stesso panorama che esisteva a metà degli anni '70: due enormi ciminiere pitturate di bianco e rosso, quasi una visione da base missilistica. E le case, le scuole, l'ospedale e tutte le altre infrastrutture promesse? E l'economia che si sarebbe dovuta sviluppare all'ombra delle fabbriche stra-finanziate dallo Stato? A Ottana è rimasto solo lo sventramento proto-industriale, un'urbanistica senza identità e una incolpevole popolazione che continua ad assistere attonita agli eventi che si trasformano, quasi sempre in peggio.
L'INQUINAMENTO Gli effetti dell'inquinamento prodotto nei decenni di attività di Enichem e Montefibre sono diventati cronaca solo quando le fabbriche hanno smesso di funzionare. Eppure i pesci morti nel Tirso a valle degli scarichi, le polveri biancastre che hanno distrutto piante e colture arboree, lo stoccaggio di bidoni dal contenuto misterioso, il fastidioso olezzo che obbligava gran parte dei residenti nelle zone industriali a tenere porte e finestre sbarrate, hanno sempre segnalato l'emergenza. Così come i tumori, copiosi ma mai quantificati da una seria indagine da parte delle strutture istituzionali e sanitarie. Tutto è potuto andare avanti perché le buste-paga (e i voti) venivano prima di tutto.
GLI INDENNIZZI Ora si fa strada una sola certezza: il centro Sardegna dev'essere bonificato, magari trascinando un nuovo virtuoso tipo di economia. E a pagare le spese devono essere l'ex Enichem (dunque lo Stato) e quel che resta di Montefibre.

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