«L'ultima volta che vidi Graziano Mesina, mi pare fosse la quarta, era terribilmente trafelato. Lo ricordo come fosse oggi: era fine estate del 2009, il 14 agosto. Venne ai Pini, l'ultimo lido del Poetto. Ci mettemmo in un tavolo, bevemmo una birra, mangiammo qualcosa. Mia moglie era terrorizzata, perché Mesina se lo guardate negli occhi quando è inferocito sembra una tigre. Sembra abbia gli occhi anche dietro. Mi disse che aveva questioni con Gigino. “Lo devo ammazzare”. Lo voleva uccidere subito». Seduto in una stanza del carcere di Buoncammino, da alcune ore l'avvocato Corrado Altea risponde alle domande del giudice per le indagini preliminari Giorgio Altieri e del pubblico ministero Gilberto Ganassi: è il 13 giugno, l'interrogatorio è cominciato alle 15,45 e andrà avanti fino alle 19,30. Gip e pm gli chiedono dei rapporti con Gigino Milia, Leone Bruzzaniti, Antonello Mascia, Guido Brignone, Christian Mancosu e gli altri (presunti) affiliati orgolesi, cagliaritani, albanesi e calabresi della banda di trafficanti che, in Sardegna, aveva al vertice l'ex primula rossa.
IL RUOLO Secondo le accuse, Altea aveva un ruolo importante nel gruppo capeggiato dall'ex ergastolano, graziato nel 2004 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: pagava le partite di droga, teneva i contatti coi complici sfruttando il suo ruolo di legale, trovava nuovi corrieri, in un'occasione aveva avvisato i calabresi del ritrovamento di una microspia nell'auto di Milia, l'altro uomo forte del gruppo (quello che Mesina a suo dire voleva uccidere). Nel maggio 2010 avrebbe messo in contatto lo stesso Milia con Christian Mancosu, un cagliaritano che aveva contatti in Colombia ed era disposto a recarsi in Sud America per trafficare in cocaina. Insieme a Milia era andato ad Africo per presentare il corriere ai calabresi. Inoltre grazie ad Altea l'associazione criminale avrebbe stretto contatti con un napoletano per realizzare un non meglio precisato affare. Contestazioni snocciolate durante l'udienza di convalida al termine della quale i difensori Daniele Condemi, Giuseppe Duminico e Jacopo Ruggero Porcu hanno chiesto gli arresti domiciliari per il collega sotto inchiesta: domanda cui ancora il gip non ha dato risposta.
MILIA Gli avvocati sono convinti che il loro assistito abbia risposto esaurientemente: «Ha dato una sua descrizione dei rapporti circa le persone indicate nell'ordinanza», hanno detto, «emerge che sia stato strumentalizzato e vittima di queste persone quale difensore». Così in effetti si è descritto Altea parlando di Milia, conosciuto «negli anni '80 a Milano» dove frequentava «malavitosi». Lo difese «in un mega processo, un giro di calabresi con una trentina di imputati» e in seguito, caduto in disgrazia economica, gli chiese aiuto dicendogli: «O mi rimetto a lavorare bene, certo è che non posso difendere spacciatori di bustine». Milia gli prestò fino a 60 mila euro e per fargli restituire la somma gli fece conoscere Costantino Pirisi - «il famoso terrorista, era reduce da 24 anni di carcere» - e difendere anche Raffaele Arzu, «all'epoca latitante nelle montagne di Talana». Poi passò ai turchi e quindi ai sudamericani, coi quali utilizzava «telefoni cellulari che capitavano per non usare i miei» quando si trattava di contattare un latitante, perché «latitanti sono e latitanti rimangono». Tutto finì presto però per paura di essere considerato parte dell'associazione anziché avvocato degli imputati. E poi «per difendere loro dovevo rischiare la pelle e non mi andava più bene. C'è il capo che ti fa difendere tutti i subalterni, il gioco è quello, c'è poco da fare. Se vuoi essere l'avvocato devi prestarti a questo gioco. Io non mi sono prestato».
MESINA E poi c'è lui, Mesina. Il dominus, l'ergastolano, l'uomo di richiamo della banda. «Lo conoscevo di fama», spiega Altea a gip e pm. Il primo incontro è del 2008: «Avevo fatto un processo a Tempio o Sassari e al rientro, sulla Carlo Felice, mi chiamò Gigino. Vieni a pranzo che sono con un amico , mi propose. Era a Zeddiani, lo trovai appartato con questa persona che riconobbi subito». Avvocato, sono io : l'orgolese si presentò così. «Mi disse che Gigino gli aveva parlato bene di me e che aveva avuto in carcere contatti con alcuni miei clienti che avevano fatto altrettanto, così mi chiese: se malauguratamente ho bisogno, tocchiamo ferro, posso rivolgermi a lei? Io accettai, ritenevo prestigiosa la sua difesa». Poi vi fu l'episodio del Poetto a Cagliari, quello della tigre inferocita. «Mi disse che aveva questioni con Gigino e mi chiese dove fosse. Quando mi viene a trovare, viene con la moglie e i figli che mi mette davanti come scudo e io non posso ammazzarlo mi spiegò. Ci siamo bevuti due birre e cercai di calmarlo. Gli dissi che non volevo sapere che questione avessero, ma che se fossero stati soldi o interessi non se ne parlava. Del resto loro due avevano fatto una rapina al circolo bridge Turatello, la chiamavano la bisca della contessa. Andare a rapinare in quegli anni lì una bisca di Turatello (il malavitoso Francis, era il dicembre 1976) ci volevano due pazzi come loro. Gli dissi avete fatto quello che avete fatto, calmati un attimo. Se sei disposto a ragionarci su ti porto Gigino dove vuoi però risolvetela pacificamente la questione . Si calmò. Da allora non l'ho più visto né tantomeno ha ucciso Gigino».
Andrea Manunza
