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L'unione sarda. «Disperati e figli di nessuno»

Gli operai: sei mesi senza stipendio e senza solidarietà

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Dal nostro inviato
Augusto Ditel
PORTO TORRES «Noi, figli di nessuno, senza stipendio da sei mesi, e senza uno straccio di solidarietà».
Nelle parole di Giuseppe Fadda - camicia chiara e occhiali a specchio, uno dei 92 operai della Vinyls, la fabbrica dei disperati - non c'è neanche l'ombra di una polemica un tanto al chilo. Distilla gocce di amarezza, e nella sua voce affiora la rassegnazione, figlia di un'impotenza colossale, ai limiti del parossismo.
LO SFOGO «Sì - continua Fadda, mentre una trentina di colleghi lo ascoltano in religioso silenzio, senza perdersi neanche le pause del suo sfogo composto - ci sentiamo proprio figli di nessuno. Stamattina siamo stati dalla Giudici; ormai la Presidente della Provincia conosce le nostre facce, cerca d'immedesimarsi nel nostro dramma, e siamo contenti che lunedì sia disponibile a marciare su Cagliari con noi, ma facciamo fatica a credere che anche quest'ennesima trasferta, con la richiesta d'incontro al governatore Cappellacci, possa generare qualcosa di concreto, che sblocchi la nostra situazione».
LE ISTITUZIONI Ma cos'altro devono fare, se non incontrare sindaci, politici d'ogni genere, magistrati, questi capifamiglia che avrebbero mille e una ragione per urlare la loro rabbia, e invece preferiscono la via del dialogo finché regge un filo di speranza. Lungi da loro essere tentati da forme di luddismo, come fecero, ai primi dell'Ottocento, gli operai inglesi. «L'altro giorno - racconta Roberto Quartu, basettoni e t-shirt nera con stella rossa al centro - siamo stati dal sindaco di Porto Torres. Abbiamo visto il Procuratore, e ci siamo autodenunciati. Il prefetto di Sassari sa tutto. Abbiamo anche indicato una via per salvarci. Niente: tutto rimane com'è».
L'EMERGENZA Se uno fa un salto a Porto Torres, a un tiro di schioppo dall'ingresso dello stabilimento della Vinyls, prova un mix di sbigottimento e frustrazione. C'è un tizio che ti squadra da lontano, forse capisce che sei un giornalista rompiscatole, e ti fa cenno di allontanarti in fretta. È un deserto, a ben vedere. Eppure, all'interno c'è una bomba ecologica. Più di seicento tonnellate di vcm (il gas liquefatto che serviva per produrre plastiche) sono stoccate negli impianti. La Regione e il governo Letta sono stati prontamente avvertiti, ma anche in questo caso non s'intravvede neanche l'ombra di un provvedimento. Eccolo, uno spiraglio. «Quello che chiediamo - aggiunge ancora Quartu - è una via d'uscita che si chiama bonifica. L'area va bonificata e gli unici che possono garantire questo lavoro siamo proprio noi. All'interno della fabbrica, oggi chiusa, va garantita la sorveglianza, fino alle indispensabili operazioni di bonifica».
IL FALLIMENTO «Sembra di essere in attesa del boia che si prepara ad azionare la ghigliottina - sbotta un altro operaio, dopo l'incontro con Alessandra Giudici -. E già, perché tra una settimana la Vinyls sarà dichiarata fallita». Giusto. La data fatidica è quella del 27 giugno e solo un miracolo - vista l'indifferenza generale - può disegnare un futuro di dignità ai 92 lavoratori di Porto Torres. Con la sorveglianza e le bonifiche, il percorso è in salita, e allora la domanda è una sola: come se ne esce?
«La soluzione c'è - risponde, pronto, Roberto Quartu, a nome di tutti i colleghi - ed è la chimica verde. L'Eni si è detto disponibile ad assorbire la forza lavoro che dopo il 27 sarà definitivamente a spasso, ma i tempi sono legati all'avvio vero e proprio della chimica verde». Campa cavallo, insomma.
PESSIMISMO CUPO Un altro quesito: esiste ancora almeno un pizzico di ottimismo? «È molto difficile - riconosce Giuseppe Fadda - essere ottimisti quando da sei mesi non arriva lo stipendio, e per chi ce l'aveva, è pure finita la cassa integrazione (scaduta il 14 maggio). A stomaco vuoto, è complicato essere ottimisti». Come dar torto, ai figli di nessuno? Neanche la notizia delle lacrime versate a palazzo Madama
da Manuela Serra, una senatrice del Movimento 5 Stelle che ha sollevato il caso dell'autodenuncia e del fallimento prossimo venturo, scuote più di tanto gli animi degli operai. Certo, è meglio che se ne parli ancora a livello nazionale, piuttosto che si taccia, ma di sorrisi, da queste parti, non se ne scorge nemmeno uno.
«A questo punto - concludono Qartu e Fadda - ci manca solo che andiamo da Giorgio Napolitano. Se serve, lo faremo».

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